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La cultura del Game Over: come sono diventato grande a 40 anni, grazie a Hidetaka Miyazaki


ciummae

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Da che ricordo di aver impugnato un pad in mano, e purtroppo per me il salto temporale è di quelli seri visto che dobbiamo tornare al lontano 1987, nella mia vita da video gamer due sono state le costanti inscalfibili dall'incedere del tempo:

il divertimento ed il Game Over

Dalle prime partite a Duck Hunt sul Nintendo, dove con la mia fida Zapper facevo stragi di volatili, quasi unicamente per farla in barba all'odioso cane che spuntava fuori per deriderti ad ogni colpo mancato. Quante volte quel pacioso bambino di 6 anni che ero, ha bramato di lanciare la pistola contro lo schermo del povero ed incolpevole Mivar da 15 pollici? Non lo sapevo, lo avrei capito molti anni dopo, ma quelle erano le prime avvisaglie dell'infido morbo del "rage quit", diagnosticabile nell'organismo di quasi tutti i video gamer, alla comparizione a schermo dei primi Game Over. Crescendo di qualche anno, la situazione possibilmente è anche peggiorata. Siamo nei primi anni '90, impazzano le sale giochi, e qui il Game Over acquisisce un ulteriore aspetto drammatico, ovvero la perdita del gettone. No money, no party dude. E visto che trovare monetine a quell'età era più difficile che trovarne girando con un metal detector, la delusione era ancora maggiore.

Inutile girarci tanto attorno, il Game Over tramuta senza ne filtro ne preavviso, il divertimento in fallimento.

Tutte le tue aspettative di gloria si frantumano in mille pezzi, lasciandoti attonito (nel migliore dei casi!), con un pugno di rimpianti in mano, e con quell'amara frustrazione in bocca difficile da deglutire. Badate bene, non sto parlando del casual gamer, il quale accende-gioca-vince-perde-spegne, tutto uniformemente con quel distacco salvifico donatogli dalla superficialità del suo approccio. Parlo di chi su quel pad, o tastiera per essere inclusivo, ci lascia sudore fino a consumarne le plastiche. Quando è la passione a muovere le mani, non ci sono compromessi che tengano. 

Superato il periodo dell'infanzia, io sono cresciuto, ed i videogame con me. E' subentrato il concetto di "salvataggio" della partita, rendendo il tutto meno traumatico. Quella che oggi viene temuta tanto da non essere nominata alla stregua di Voldemort, ovvero la permadeath, una volta era la norma. Quello che oggi viene racchiuso all'interno di meccaniche di nicchia rogue like, anni fa era il minimo comun denominatore nei videogame. 

Ma il Game Over negli anni è sempre rimasto un boccone indigesto, un triplice fischio finale con la partita ancora in corso. Sono diventato grande, ci dormivo comunque serenamente la notte, ma non posso dire che non abbia influenzato pesantemente il mio percorso. Cosa voglio dire con questo? Beh, molto semplicemente che un gioco professato come molto difficile, adatto solo a quei gamer con doti soprannaturali, mi metteva paura approcciarlo. L'idea di ricevere a video una valanga di Game Over consecutivi, annientava le mie infatuazioni sul nascere. 

Senza alcun dubbio, nella mia lunga carriera da videogiocatore, c'è una saga su tutte, che ricorrentemente negli anni riaccendeva le mie sinapsi con nuovi titoli in uscita, ma che puntualmente soffocavo per il terrore del Game Over: sto parlando di una delle morti nere, di una delle icone quando si vuole sintetizzare un gioco come Difficile, ovvero la saga dei Soul's targata Hidetaka Miyazaki.

Ho posseduto praticamente tutte le console possibili da metà anni '80 in poi, e dall'avvento del 386 sono stato contemporaneamente un giocatore PC. Sta di fatto, che negli anni, a prescindere dalla piattaforma che possedessi in quel periodo, molteplici sono state le apparizioni di titoli From Software, il celeberrimo studio di Tokyo. Il mio genere preferito parlando in senso lato, è il Fantasy. Lo è nei videogame, come nella letteratura e nella cinematografia. Questa premessa vi risulterà doverosa, per capire più a fondo il mio desiderio di agguantare di volta in volta i vari Soul's, incarnando essi come ambientazione, gameplay e lore il mio genere prediletto. 

A volte, cercando di esorcizzare le mie paure, ho addirittura premuto il tasto acquista. Fu così per Dark Souls 2 su PS3 (poi rivenduto a qualche fortunato acquirente tramite Ebay), e la stessa sorte toccò a Dark Souls 3 su PC tramite Steam. A dispetto della spesa però, il massimo ardimento che fui capace di dimostrare, fu di avviare i giochi, percorrendo i primi passi con il terrore tra le mani, fino al primo perentorio You Died. Sentenza inappellabile di quanto il mio mal celato disagio nei confronti del Game Over, in quel caso fosse fondato e assolutamente da assecondare. 

Da quegli avvenimenti sono passati anni, parecchi anni aggiungerei. E nulla era cambiato, anzi. La convinzione a riguardo si era sedimentata in maniera piuttosto solida e tutto sommato serena. Sapevo che non tutti i giochi erano per me, e per non starci male sarebbe bastato evitarli. 

Fino all'avvento di PS5, e del fantastico remake di Demon's Souls fatto da Bluepoint Games. Complice la moria di giochi al D1, e l'imponente campagna di marketing lo presi. Va bè mi dissi, sarà un ultimo tentativo, una pietra tombale definitiva. 

Per quanto riguarda la mia storia con i Soul's, spoilerandovi il finale, vi dico è che terminata con un lieto fine. Sono diventati indubbiamente una delle mie saghe preferite di sempre. Ma non è questo il 3ed adatto per parlarne.

Ciò che è conseguito da mesi con in pad in mano in compagnia con questi titoli, è stata un'inaspettata e profonda crescita personale. Il genio creativo di Hidetaka Miyazaki, applicato alle dinamiche gaming, è stato in grado di farmi capire ciò che nella mia vita da gamer, fino ad oggi, non ero riuscito a comprendere. 

Il Game Over non è la trasmutazione del divertimento in fallimento, ma è parte stessa del divertimento. 

Per ogni Game Over ho imparato dai miei errori. Per ogni Game Over ho allenato me stesso a far scorrere rabbia e frustrazione, fino ad accettarlo con serenità. Alcuni Game Over mi hanno strappato persino un sorriso, perché sapevo già che nel frattempo avevo acquisito abilità superiori e il prossimo tentativo sarebbe stato quello vincente. Una dinamica punitiva sì, ma potrei dire perfino didattica.

Accettare i propri Game Over, come metafora del tenere botta ai fallimenti che inevitabilmente possiamo inanellare nella vita reale. Per me è stato un insegnamento che ha toccato direttamente le nude corde della mia maturità. 

Tramutare il fallimento in nuovi stimoli, e quindi divertimento. Accettare il Game Over come parte di noi stessi, come un compagno di viaggio che ogni tanto ci riporterà con i piedi per terra, e ci farà tenere sempre alta l'asticella, al fine di limitare al minimo gli errori che potremo commettere. 

Non esiste Game Over, nel cuore di chi lotta. (semicit.) 🤣

 

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Osservazione estremamente interessante, anche io ho avuto una reale epifania su questo tipo di gamedesign (la crescita tramite il gameover) grazie a Sifu (capolavoro, per inciso, prima che ammorbidissero la difficoltà tramite patch), e mi ha aiutato tantissimo ad affrontare successivamente Elden Ring, primo souls di miyazaki che ho affrontato.

Li ho sempre ignorati, i miei generi cup of tea erano ben altro. 

@Vc3nZ_92 la pensa uguale a me vista la sua recensione di Sifu

https://4news.it/recensione-sifu/

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